Degli 1,7 milioni di studenti internazionali negli Stati dell’Ue (nel pianeta se ne contano più di 4 milioni), nel nostro Paese ne ritroviamo poco meno di 70.000. Una cifra esigua, soprattutto se come metro di paragone si prendono i 550mila della Gran Bretagna e i 250mila in Germania e Francia.

Nelle università italiane la presenza di studenti stranieri è limitata, basti pensare che in media si conta uno straniero ogni ventidue immatricolazioni, uno straniero ogni ventisei iscritti complessivi e uno straniero ogni trentaquattro laureati.  È quanto emerge dal VI Rapporto dell’European Migration Network (Emn) Italia presentato nel corso degli ultimi mesi a Roma.

All’inizio degli anni settanta si contavano diecimila studenti stranieri immatricolati in università italiane.  In maggioranza greci, ma anche tedeschi e svizzeri. Oggi sono moltissimi gli studenti stranieri non comunitari, con i cittadini del Camerun che si assestano al vertice della graduatoria.

In quattro decenni si è registrata una crescita innegabile, dunque, ma il numero di studenti stranieri nelle università italiane resta esiguo. Come mai? E’ giusto chiederselo, alla luce di un pianeta ormai sempre più globalizzato.

Probabilmente il numero contenuto di studenti stranieri in Italia va interpretato in relazione a problemi intrinseci al sistema universitario. Problemi che da anni frenano l’ascesa di diversi atenei italiani, schiacciati da burocrazia, tempi biblici, strutture fatiscenti e dinamiche che mettono lo studente all’ultimo posto di una graduatoria che invece dovrebbe vederlo primeggiare.

Come accade in realtà emergenti, che hanno preso il meglio della tradizione universitaria italiana ma che guardano al futuro con idee, progetti e ambizioni che stanno trovando sempre maggiori plausi e sempre maggiori conferme.

Non è un caso che il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, ha recentemente sottolineato il merito delle università telematiche, dichiarando: “Rappresentano una grande opportunità nel senso della formazione a distanza, soprattutto per chi è lavoratore. Offrono tutoraggio, monitoraggio, professori che possono essere contattati telematicamente e corsi ad orari compatibili con l’attività lavorativa”.

Parole chiare, quelle di Maria Chiara Carrozza, che ha precisato: “Tutto questo ha un valore immenso, rispetto ad altri atenei che magari mandano gli studenti fuori corso. Bisogna farne una valutazione attenta, andandone a vedere la qualità e cercando di incentivare le università telematiche che hanno lavorato meglio ed escludere i diplomifici”.

È indispensabile, quindi, che il “sistema Italia” continui a mettersi al passo con i tempi, in un mercato sempre più competitivo, informatizzato e multinazionale,   configurandosi, anche a livello universitario,  in una posizione di maggiore interesse per una sempre crescente quota di studenti stranieri, trasformando il nostro Paese in una “azienda internazionale”.

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